giovedì 24 dicembre 2015

Il mio sogno debosciato (post di auguri)

Una cosa che m'ha sempre sconcertato è quel modo di dire ricorrente:
"Ah! Il problema principale è sapere cosa si vuole..."
Dico, ma davvero?
Io so perfettamente da anni cosa voglio.

Avendo la sublime fortuna di festeggiare in una sola settimana natale e compleanno (da piccola la consideravo una sfiga immonda; da adulta mi consolo pensando sia stato il primo indizio della mia connaturata efficienza) ogni anno il 24 dicembre io chiudo gli occhi, mi concentro e raccogliendo tutti i sentimenti esprimo questo desiderio:

"Caro Babbo Natale,
caricami sulla slitta e trasportami in un mondo parallelo dove io possa vivere come una di quelle fatue signore di campagna dei romanzi di Wodehouse.
Io desidero vivere in una bellissima e sconfinata tenuta stile Downton Abbey, MA senza tutte quelle complicazioni tipo guerremondiali E IN PIU', giacché ci stiamo sbizzarrendo, vorrei il benefit di un bel PC con tutte le versioni di THE SIMS installate!"

Così potrei passare il resto dei miei giorni nella mia biblioteca giocando circondata da cani e gatti, con il più grosso problema costituito dalla crescita delle rose nella serra. Se mi andasse di fare un po' di moto potrei scendere in giardino a far spostare qualche aiuola o persino fare qualche passeggiata a cavallo fino al (mio) lago.

E' un desiderio da debosciati?
Ne sono impudicamente consapevole.

E' un sogno irrealizzabile?
Ne sono sconsolatamente consapevole, già da prima di aggiungere la variante "The Sims", una decina di anni fa.

E' per questo che da tanto tempo non ho aspettato la tenuta e la serra e tutte quelle cose per quanto bellissime che i libri mi hanno fatto e ancora mi fanno sognare e mi sono messa a pedalare per ottenere cose - diciamocelo - normali, ma in queste cose normali un po' della bellezza dei miei sogni: non una biblioteca ma una grossa libreria, non cento ma tre gatti, non un parco ma un terrazzo fiorito. E se giochi nel salotto di casa tua o in una biblioteca alla fine il risultato non cambia, perché il divertimento va da sé che dipende dal gioco e da te.

Così alla fine, dovendo fare degli auguri (perché questo era lo scopo del post, in effetti), potrei scrivere:

  • Pur non avendo mai visto il mio sogno esaudito, io continuo ogni anno a sognarlo (e non solo questo sogno debosciato!), perché ho capito che sognare di per sé è la gioia e il regalo, e quindi auguro a tutti di poter fare lo stesso;
  • Visto che non ricevendo riscontro ad una richiesta così ragionevole alla fine mi sono arrangiata per conto mio e anche se oggi non sono Lady Lumen di Simsville (come - diamine!- sarebbe stato appropriato) sono ugualmente felice, auguro DAVVERO di tutto cuore a tutti di riuscire ad essere autonomamente felici; 
  • Per ultimo: fatemi stare tranquilla. Il problema principale NON E' sapere cosa si vuole, vero? Questa è LA cosa più importante, quella che auguro più di ogni altra. Non nasciamo tutti uguali: che desideriate gioco, amore, benessere, una famiglia numerosa oppure solitudine; divertimento sfrenato oppure silenzio, auguro con tutto il cuore che ne siate consapevoli, che abbiate perseguito e stiate perseguendo il vostro Desiderio, la vostra reale natura e quindi la vostra felicità. Perché le persone così, quelle consapevoli e votate alle felicità, sono anche quelle in grado di rendere felici gli altri e migliorare il mondo.

mercoledì 16 settembre 2015

La Salsa di San Bernardo

Dicono che invecchiando si perda in memoria a breve termine, ma si recuperino le memorie più vecchie.
Ovviamente questo è un problema che ancora non mi può riguardare, però intanto visto che oggi inaspettatamente ho recuperato un ricordo passato molto gradevole, come un meraviglioso giocattolo spuntato fuori da un baule in soffitta, gli do una bella spolverata e lo ripongo qui, prima di ridimenticarmene.

Riguarda una storia che mi raccontava spesso mio nonno Giorgio, appassionato di favole e cucina, a tavola.

LA SALSA DI SAN BERNARDO
C'era una volta un Principe che aveva perso l'appetito.
Inutilmente i migliori cuochi del reame si affannavano attorno alla sua tavola per proporgli i più ricercati piatti, i più originali manicaretti: inutilmente. I piatti d'oro, le stoviglie finissime rientravano nelle cucine intoccate.
Furono interpellati medici, esperti e persino maghi, finché un giorno una vecchia che viveva a corte da tempo immemorabile consigliò:
"Quello che occorre è la Salsa di San Bernardo. Qualsiasi piatto, anche il più umile cibo ti parrà irresistibile, condito con questo magico accompagnamento. Tuttavia, la Salsa di San Bernardo si trova solo nel Convento dei Monaci sopra il Monte, e questo si può raggiungere solo in dovuto pellegrinaggio, a piedi e con il solo aiuto di un bastone."
"Se è questo che devo fare," replicò il Principe "lo farò."
Così la mattina seguente si destò prima dell'alba e si incamminò a piedi in pellegrinaggio verso il Convento posto sulla cima del Monte. Il sole era già alto quando lui e il suo stremato e polveroso seguito giunsero a vedere i tetti del Convento.
Gli umili monaci, sorpresi da tanto onore, si affannarono ad accogliere l'ospite reale, il quale li rassicurò sul fatto di voler desinare esattamente con quello che avrebbero mangiato loro stessi per pranzo, condito, ovviamente, con la famosa Salsa.
Così si misero a tavola, condividendo una ciotola di zuppa di erbe e poche fette di pane nero, ma condite dalla Salsa.
Enorme fu la meraviglia del Principe!
Niente mai gli era sembrato in vita sua più buono, più gustoso!
Pulì la sua ciotola fino a farla splendere, e di pane, per quanto un po' raffermo, ne mangiò finché la buona educazione glielo permise.
Al momento di congedarsi, fu con sincera umiltà che inginocchiandosi di fronte al Priore chiese la ricetta della Salsa, promettendo solennemente di non infrangere il segreto.
"Ma non è segreta, figliolo." rispose il Priore sorridendo "Eccola." E gli consegnò una pergamena con gli ingredienti e tutte le istruzioni per la preparazione.
Il Principe con tutto il seguito rientrò a Corte, e con una lietezza che non provava da anni la mattina dopo si svegliò nel proprio letto di piume, pregustando un futuro di pasti prelibati.
Ma giunta l'ora di pranzo, niente che assaggiò gli sembrò all'altezza di ciò che aveva mangiato al Convento. Tutto appariva di nuovo insipido e insulso.
"Avete seguito per bene la ricetta?" chiese preoccupato ai cuochi.
"Sicuro, Maestà!"
Il giorno dopo, il cibo gli parve ancor peggiore.
"E' una ricetta complicata? Avete problemi a trovare qualche ingrediente?" si informò accigliato.
"In verità è assai semplice e ci siamo sforzati a realizzarla con i prodotti migliori sul mercato." risposero i cuochi, vagamente preoccupati per le proprie teste.
Poiché il Principe era certo di avere già i migliori cuochi reperibili nel reame e d'altra parte il ricordo del pranzo al Convento lo tormentava sempre più, prese una decisione drastica.
La mattina dopo si svegliò che il sole non era ancora sorto e seguito da tutto il proprio seguito, affranto all'idea di una nuova scarpinata, si reincamminò verso la cima della montagna.
Quando i monaci li videro apparire all'ora di pranzo, sorrisero e aggiunsero i coperti a tavola.
Di nuovo il Principe sperimentò la magia della Salsa: quella bontà pazzesca, quella voglia di mangiarsi piatti, bicchieri e posate.
Dopo pranzo, chiese al Priore di parlargli in privato.
"Mi dovete aiutare, Padre. La ricetta non funziona!"
"Eppure, è quella corretta."
"Sì, ma fatto a corte lo stesso cibo non è buono! Io non ritrovo l'effetto della Salsa di San Bernardo. Deve mancare qualcosa! "
Il Priore ci rifletté. Poi andò allo scrittoio e scrisse una nota su una pergamena che consegnò al Principe.
"Con questo, dovreste poter ritrovare l'effetto della Salsa di San Bernardo in qualsiasi cibo."
"Ma è fantastico! Lo consegnerò stasera stessa ai miei cuochi!"
"Non è per i cuochi: è per voi."
Incuriosito, il Principe srotolò la pergamena. Sopra c'era scritto:
"CAMMINA OGNI GIORNO PIU' CHE PUOI E GUADAGNATI LAVORANDO IL CIBO CHE MANGI."

Visto che era un bravo Principe, comprese e da quel giorno riuscì a ritrovare l'appetito.
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A questa storia sono molto affezionata, non solo perché da piccola mi piaceva, ma perché poi l'ho raccontata ai miei figli da piccoli ed è piaciuta anche a loro, tant'è che quando sono stanchi ed affamati anche adesso che sono grandi mi dicono: "Mamma, c'è la Salsa di San Bernardo!"

Una nota curiosa è che googlando per cercare se questa favola fosse già stata trascritta non l'ho trovata, ma ho scoperto che la Salsa di San Bernardo come ricetta esiste e si ritiene creazione di un Monastero a Catania.
Come il mio romanissimo Nonno conoscesse una favola di origini siciliane non lo saprò mai, ma il fatto che la Salsa esista mi fa ulteriormente sorridere.

lunedì 20 luglio 2015

Io mi ricordo

Uh, sì, ok: fa caldo.
Bella scoperta: è estate.
Inutile lamentarsi, soprattutto dannoso agitarsi. Anche perché fa venire ancora più caldo.

L'altro giorno, con la mia usuale predisposizione d'animo solare e positiva, riflettevo:
"Ahimé, ahimé misera, più che il presente ciò che mi tormenta è il ricordo di ciò che non ho più. Non sarebbe stato meglio non avere lunghe estati di libertà e divertimento da ricordare?"
Oggi, ripensandoci meglio, sono giunta ad una saggia conclusione:
"Col cavolo!"

Ho avuto bellissime estati, e poiché sono abbastanza vecchia da poterlo fare, ora mi abbandono anche, senza alcun rimorso, al tediosissimo gioco del ricordo.

Io mi ricordo...

Mi ricordo che l'estate era lunghissima, da giugno a settembre, al Circeo con i nonni. E i nostri genitori a lavorare a Roma, in vacanza da noi fino ad Agosto.

Io mi ricordo che detestavo stare sulla spiaggia e volevo sempre fare il bagno. Avevo un'amica adulta cui chiedevo di farmi compagnia, la signora Jorio. La signora Jorio mi piaceva perché era seria, mi trattava come una piccola persona e mi raccontava storie interessanti. Quindici anni dopo ho scoperto che era la sorella di Enzo Siciliano.

Io mi ricordo che nel giardino del Circeo potevo passare ore con Pippo, il mio cocker spaniel. Sugli archetti delimitanti le aiole vedevo le cicale compiere lentamente la loro muta, osservavo con tenerezza quei mosconi verde erba pallido liberarsi lentissimamente dei loro gusci, distendere le loro ali venate di nero ancora molli al sole e poi arrampicarsi sull'albero dove avrebbero frinito per il resto dell'estate. Impedivo a Pippo di dar loro fastidio. Quando i gusci abbandonati sugli archetti erano secchi, con l'assenza di schifo dei bambini li prendevo e glieli davo da mangiare ridendo, come patatine.

Mi ricordo che passavo ore a cercare conchiglie e vetri spiaggiati e sassi luccicanti.

Mi ricordo la mia mascherina da sub ad oblò, che mi infilavo ancor prima di imparare a nuotare per scoprire i gamberetti fra le alghe del porticciolo, i pesci ago, e l'incredibile meraviglia della trasparenza dei cavallucci marini.

Mi ricordo la mia ossessione di accompagnare i nonni. Nonno la mattina alle sette a fare la spesa, col sonno e il freddo che faceva, dopo un inverno passato a maledirli. "Roberta, perché non resti a letto?" "NO, io vengo con te!". Il pomeriggio dopopranzo sotto la canicola con mia nonna a giocare a bridge all'Hotel: ore ed ore passate a fissare vecchie signore che parlavano a bassa voce in giardini di ghiaia ed oleandri. Ora quell'Hotel ha chiuso e sembra un posto di fantasmi. E' tutto così diverso che sembra un altro mondo. I giardini sono deserti ed abbandonati; le vie che ora sono piene di gente, all'epoca erano deserte. Ricordo che una volta andando vidi una creaturina scura infilarsi in un tombino. "Nonna, un gattino!" E lei, rigida come un pezzo di legno: "Roberta, quello è un ratto!"

Mi ricordo la mia amica del cuore delle vacanze, La Sabrina, La perché veniva ogni anno da Milano. Aveva una madre bionda così bella e così cool che mi metteva soggezione. La Sabrina un anno era andata in America e aveva imparato l'inglese. Quando beccava un sassolino nella scarpa faceva Ouch!, pronunciato Auc! e non so se lei abbia continuato a dirlo, ma a me l'ha attaccato per il resto della vita, tant'è che ancora lo dico, ormai senza pensarci: Ouch!

Io mi ricordo le notti del dieci di agosto passate con mia sorella Biri arrampicate sugli spalti del tennis a cercare le stelle cadenti e finite a guardare le lucciole e giocare fra noi, forse perché di desideri da esprimere non ne avevamo.

E la pignatta da un quintale, bollente, di pollo coi peperoni che mio Nonno ci preparava ogni Ferragosto, perché "era tradizione", che avrebbe steso un battaglione.

Le piogge torrenziali dopo ferragosto che trascinando i campi del tennis trasformavano la strada di fronte a casa nostra in un fiume rosso.

E poi le cose che credo ricordino tutti: il cinema all'aperto, i temporali estivi pieni di fulmini guardati sul mare, le case bianche, le scogliere, il blu infinito.

Ero piccola e nello stabilimento guardavo da lontano i ventenni abbronzati con curiosità reverente, come Dei alieni. Quando sarò grande...

Ora lo so.
Quando sarò grande senza accorgermene diventerò una noiosa che si scioglie di amarcord.
Ma è una pazzia pensare di essere tormentati dai bei ricordi. E' una fortuna, una fortuna immensa averne. Sono felice di richiamarli, e poi li fisso qui perché non voglio che vadano perduti come lacrime nella pioggia.

Ora mi piacerebbe un bel temporale estivo.


venerdì 26 giugno 2015

A trip to Solaria

Uno dei vantaggi della mia età (ho 47 anni), è che non pensi più: "Chissà come diventerò."
Lo sai già. Questo ti permette di fare delle valutazioni.

Sono una persona solitaria.
Sarà perché dopo essere cresciuta in un mondo molto al femminile e avendo fatto due figli maschi mi sono ritrovata circondata da uomini, a volte mi mancano certe abitudini (per capirci, mi piacerebbe anche solo avere qualcuno cui poter chiedere: "Secondo te sto meglio con la gonna carta da zucchero o quella color malva?" e NO, non sono quel tipo di donna che lo chiede al proprio maritoamico).

Capiamoci: ho degli ottimi rapporti con queste creature alte che mi girano per casa (e che in parte ho generato io); grazie al loro buon carattere mi sono anche abbastanza rasserenata e diventata persino coccolosa (loro sono l'eccezione a tutto ciò che seguirà), però volte osservo altre donne e penso: "Questa persona ha una o più amiche! Altre persone che incontra volontariamente e con le quali passa del tempo a parlare e fare cose varie!"

Mi sorprendo - persino - a desiderare di avere un'amica, qualcuno magari della mia età, con cui potrei parlare senza dover stare attenta a non creare imbarazzo, qualcuno che (grossomodo: non pretendo un mio clone) condividesse le mie idee anarcoidi e ultraliberal e non mi costringesse alla superficialità e ai silenzi diplomatici degli scambi quotidiani coi conoscenti.

E poi penso: ma comunque con questa persona dovrei uscirci. E parlarci. Probabilmente anche telefonarle. In ogni caso, frequentarla dal vivo. Uhmmm.

Io ho 47 anni e ormai so come sono.
Direi post-solariana.

Nel 1957 Isaac Asimov pubblicò il Sole Nudo, uno dei miei romanzi preferiti. Copio/incollo dalla Wiki per pigrizia:

"Il libro si concentra sugli strani costumi della società solariana, in cui il numero di abitanti è rigidamente controllato e i robot superano gli umani con un rapporto di diecimila a uno. I solariani sono educati dalla nascita a evitare il contatto umano, e vivono in immense proprietà da soli o al massimo con il coniuge, che comunque vedono durante la giornata solo per alcuni minuti, dove il rapporto è limitato a brevi conversazioni. Qualsiasi rapporto fisico è considerato non solo sgradevole dai solariani, ma persino ripugnante. La comunicazione viene effettuata soltanto attraverso trasmissioni olografiche."


Dall'adolescenza io sogno una Solaria dove ci siano oltre ai robot (che comunque adoro), anche dei gatti. E tanti libri e strumenti per scrivere.


Ora, se riuscite a dismettere i panni (per lo più) abusivi di aspiranti psicologi e di cucirmi addosso le più svariate sociopatie, cerco di spiegarmi.

Come immagino accada a tutti, ci sono persone che non mi garbano, ma con le quali mi tocca avere a che fare, e vabbé. Cerco almeno di essere educata e corretta. Ovviamente in un mondo ideale non me le porterei dietro. Bye!
A differenza di molte Brutte Persone che vedo in giro, io sinceramente non sono in grado di provare risentimento verso qualcuno solo per la banale causa di non piacere a Me. Tutto è relativo. Probabilmente alle loro mamme piacciono. O quantomeno al loro cane, se ne hanno uno. E' un problema di essenza. Io desidererei solamente liberarmene. Sono contraria alla pena di morte. Non ho lo spirito del Giustiziere. Se ne andassero pur affanculo anni luce lontano da me.

Ci sono persone che mi sono indifferenti. Occupano comunque spazio, sporcano in giro e magari sentono anche brutta musica. E no: io non sono un tipo curioso. Se ne stessero pure altrove. Grazie.

Poi ci sono persone che per fortuna mi garbano. Alcune anche parecchio. Ovviamente, secondo una tendenza diffusa, pensando di essere molto intelligente e in gamba, reputo queste persone ugualmente intelligenti ed in gamba, alcune persino più di me (credo si definisca: ammirazione). 
Il problema è che frequentarle mi stressa. Anzi: spesso capita che più mi piacciono, più io mi stressi.

Parlare dal vivo, sostenere una sincera, stimolante conversazione, mi stanca. E' difficile mantenere un buon livello qualitativo. Io sono una pessima conversatrice perché sono distratta e ho una pessima memoria. Tendo noiosamente a ripetermi. Apro un milione di incisi e dimentico quello che volevo dire. Faccio una fatica bestia ad esprimermi a parole e dopo poco sembro (e sono) stremata. 
Allora preferisco frequentare persone dotate di buon eloquio. Io so scrivere: al limite dopo posso mandargli un'email col resoconto della serata.

Il telefono poi è la mia kriptonite. Mi piacciono i cellulari e li trovo molto utili in caso di emergenza, ma non ho mai compreso questa barbarie di abilitarli alle chiamate vocali, oltre che alla messaggistica, navigazione su internet e riprese fotografiche.
Sono dolorosamente consapevole del fatto che nel mondo vaghino diverse persone giustamente risentite con me dopo che io gli ho scritto: "Ti richiamo io!" senza averlo mai più fatto. Purtroppo nella mia corteccia cerebrale ci deve essere una sorta di firewall chimico che cancella puntualmente il ricordo di queste promesse nei miei rari momenti di tempo libero, per evitarmi esperienze traumatiche. Al telefono se possibile sono peggiore che dal vivo. 
Nonostante io mi sforzi allo spasimo, il mio tono di voce oscilla fra lo scortese e lo scazzato, cosicché se pronuncio:
"Uh che bello, ti sposi!" invece suona come: "Tu e io siamo nati per morire."
Paradossalmente, riesco molto bene nelle telefonate in cui mi danno brutte notizie. Che comunque per me sono esperienze tristi di per sé.

Ora però non date la colpa al Malefico Internet. Io ero asociale molto prima dell'avvento dei pc. Ricordo benissimo la me bambina che pensava: "Ma QUESTE, non si annoiano con questi discorsi noiosi?" ascoltando pigolare liete le altre fanciulle in fiore, sentendole saltabeccare da un discorso all'altro come passeri sui rami, senza alcun costrutto a mio avviso. 

Però c'erano bambine che mi garbavano: bambine che come me leggevano tanti libri, con le quali inventavamo avventure, variazioni sulle storie lette. Persone con dei talenti particolari. Persone forti per le quali piacere agli altri è proprio l'ultimo dei problemi.
Persone autoportanti.
Persone che mi sembrava guardassero il mondo come lo guardavo io, dietro i vetri di un oblò di una navicella spaziale che oggi chiamo ironia, o meglio coscienza critica.

Sono stata fortunata perché nella mia vita credo di aver incontrato altri Solariani in esilio.
Persone che non si offendono: alle quali non importa se non le chiamo per un anno, ma sanno che se una persona mi garba (o diciamolo senza pudore: la amo), la amo per sempre, quindi anche se noi Solariani siamo assolutamente autonomi e funzionali, se ci fosse un'emergenza siamo per sempre connessi e pronti a supportarci completamente.

Ecco così che capisco che non mi serve una migliore amica con cui uscire e comunicare verbalmente fatti che mi riguardano per sperimentare prossimità. 
Non mi servono neanche le proiezioni olografiche.
Siamo post-Solariani. 
Loro sono sicuri di me e io di loro.

martedì 26 maggio 2015

Darci un taglio

Stasera preparavo la cena e ho pensato:
"Oh, come vorrei che le persone che non mi stimano, quelle a cui non piaccio, mi potessero vedere ora!"
Nella mia cucina, a cucinare.
Non per per farmi stimare, non per piacer loro, ma per il gusto di veder cadere le loro mandibole.

Cucinare è una cosa che mi riesce davvero bene.
In quei momenti, sono come un trapezista che volteggia in mezzo ai riflettori, come un illusionista che confonde la folla sorridendo.
Dimentico tutto e ho davvero il pieno controllo.

Per tacere dei momenti in cui uso la mia sconfinata collezione di coltelli.
Allora, forse, potrei persino suscitare un po' di paura.

Chi non ha mai visto come so tagliare le cose, non mi conosce davvero.

Sarà che vengo da una famiglia di chirurghi (e sotto sotto, diciamocelo, ho ricevuto vari input subliminali per diventarne uno io stessa), sarà che ho un animo scioccamente radicale, ma per anni le mie metafore preferite hanno fatto riferimento a questo argomento.

"Meglio dare un taglio netto."
"Taglia via la parte marcia per salvare il resto."
"Tu brilli, ma come una lama affilata."

Va da sé che avendone l'occasione avrei speso il prezzo necessario per una katana autentica e che il mio personaggio preferito da ragazzina era Goemon (più avanti,  Musashi Miyamoto di Vagabond).
Il mio eroe ispiratore, Cyrano; la mia vita, una consapevole sfida all'arma bianca contro un mondo di felloni armati di pistole.

 La verità, oggi?

A quasi cinquant'anni, sembra che il livello di whocares si stia alzando vertiginosamente nel mio sangue.
Con il primo effetto immediato di non desiderare più di sprecare energia per cercare versare quello di nessuno, neanche con delle lame metaforiche (che notoriamente sono più disagevoli di quelle reali, specie di quelle in ceramica, comodissime a mio avviso).

Conoscendo il mio carattere, per tutta la vita sono stata convinta che sarei diventata una di quelle vecchie signore che picchiano per strada la gente con la borsetta (eventualmente riempita di sassi, visto che ho sempre puntato all'efficienza) ed invece accade l'impensabile: mi rassereno.
Sperimento un inedito, piacevole e costante senso di libertà.

Libera ad esempio dalla categoria "Ossessioni legate all'aspetto esteriore" che negli ultimi quarant'anni ha riempito pagine e pagine della mia sconfinata lista interiore "Cose per cui tormentarti".

Invecchio fisicamente e non ho provveduto a coprire tutti gli specchi di casa di teli neri come avevo previsto.
Mi accorgo, senza essermene resa conto, di aver cominciato a preferire di essere in buona salute piuttosto che bella, e ogni giorno che mi sveglio in forma, mi sento felice.

[Un giorno magari mi libererò anche dall'ossessione di categorizzare (e sottocategorizzare) tutto, comprese le mie ossessioni, ma andiamo per gradi: un po' di OCD alla fine torna sempre utile, sia sul lavoro che per avere una casa sempre ordinata].

Un altro effetto collaterale di questo gioioso rammollimento, è che aumenta la mia tolleranza verso il prossimo (del genere "molesto"), il quale se diviene particolarmente molesto non viene più sfidato a duello, ma rabbonito con qualche buffetto al suo ego e una manciata di caramelle tirate lontano per distrarlo dalla mia persona.

Non ho più voglia di litigare.

Sorrido, persino. Spesso.

Però questo non conta, perché sorrido per i motivi di sempre.

Per rassicurare chi mi vuol bene. E viceversa.


venerdì 20 febbraio 2015

Ma che coincidenza!

Approfitto della relativa non lucidità (e della disponibilità di tempo) datomi dall'influenza stagionale per cercare di affrontare un argomento che in condizioni normali (ovvero di piena razionalità) trovo ostico: quello del Destino.

E' un argomento che non tratto volentieri semplicemente perché in questo particolare momento della mia vita ho la convinzione che stia aumentando a livello sociale la tendenza alla superstizione e all'irrazionalità. Quindi non vorrei, per così dire, contribuire all'imbarbarimento.
Quand'ero più giovane inoltre nutrivo un forte interesse per le scienze esoteriche, la mitologia e il sincretismo religioso, mentre adesso ho una visione di me stessa come di una persona orientata al razionalismo e al pragmatismo, con un'etica definita e non influenzabile, basata su scelte del tutto personali. Quindi la mia formazione culturale "sospetta" costituisce per me più un'ulteriore resistenza che uno sprone a parlare di Destino e determinismo.

Tuttavia non posso non ammettere l'esistenza nella mia esperienza di alcuni elementi ricorrenti in modo rilevante, ovvero di "coincidenze". 
Così a titolo esemplificativo e non esaustivo (anche perché altrimenti i quattro gatti che mi leggono mi fanno notare, e a ragione, che scrivo post lunghi e pesanti come una mattonazza) vorrei citarvene alcuni.

Le Risposte dall'Universo: ovvero quando tu sei preso dai tuoi pensieri domandandoti cose utilissime alla vita di tutti i giorni, come ad esempio: "Uhmm, com'è l'esatta grafia di quella parola tedesca che vuol dire gioire delle disgrazie altrui?" Passa un minuto, magari baloccandoti con lo smartphone apri facebook (o alla TV, o per radio), ed ecco in cima agli aggiornamenti un bellissimo articolo su schadenfreude e weltschmerz. Ammettiamolo: oltre alla risposta, ricevi la sensazione di un pat-pat sulla testa da parte di un universo assistente e benevolo. 
Ovviamente, oltre che di risposte, può trattarsi più in generale di soluzioni. O calzini spaiati.
"Era proprio quello che cercavo!" "Era proprio quello che stavo pensando!"
E' bello sapere che ogni tanto l'Universo è efficiente in ciò per cui esiste. Ovvero, aiutare noi.

Gli Ancora Tu: che può presentarsi con situazioni, luoghi (il cosidetto deja vu, che tuttavia viene riconosciuto come una sensazione soggettiva), ma anche con persone, sia già conosciute che nuove. 
Se sono già conosciute, occhio che non si tratti di stalking (più o meno astutamente camuffato).
Quello che però mi interessa di più, è quando conosci una persona per la prima volta e scopri che, ah però! le vostre vite si sono incrociate già miriadi di volte, nei modi più diversi. 
Attenzione: non sto parlando di quei casi in cui quella persona ha moltissime cose in comune con un'altra del vostro passato (in questo caso potrebbe trattarsi di banale coazione a ripetere ovvero, per spiegarla più semplicemente: forse vi scegliete sempre lo stesso schifido tipo di amici e partner, quindi magari rifletteteci e dateci un taglio), ma quelli in cui ci sono oggettivi elementi di coincidenza. "Uh, quindi c'eri anche tu in quel resort a Bali nel 2003! E non ci siamo incrociati!" "Anch'io tutte le volte che vado a Cannes compro il miele alla lavanda, proprio in quel banco del mercato, pensa te!" "Conosci Giovanni? Io lo conosco da quindici anni! Non ti ho mai visto con lui!
Qui è tutta una questione di ottimismo o pessimismo.
Generalmente, i giovani animi trasecolano e palpitano anche un po'. Immaginano due destini come due linee luminose che spaziano nel tempo incrociandosi in bellissime volute, finendo per unirsi.
I vecchi cinici pensano che se per tanti anni vi siete sempre schivati di poco, magari un buon motivo c'era.

I Samarcanda: i veci e magari meno veci conosceranno l'omonima ed allegrissima canzone di Vecchioni. Un soldato cavalca in capo al mondo (appunto fino a Samarcanda) per sfuggire alla Morte e la trova ad aspettarlo proprio là. Oh che fortuna.
Non so voi, ma a me è capitato raramente di fuggire o meglio voler chiudere radicalmente con qualcosa o qualcuno. Casomai ho il problema di gestire dei rapporti di amicizia che tendo a far diventare omeopatici, dandoli per scontati e a causa del mio amore per la solitudine, ma non sono una persona dura e per natura evito le rotture definitive. Tuttavia è successo anche a me di chiudere del tutto con alcune persone, e a questi casi ho applicato tutto il mio perfezionismo.
Mettiamo il caso, ad esempio, che abbiate litigato definitivamente col vostro amico Mario, di Treviso: 35 anni (nato il 23 gennaio), alto 1:82, capelli rossi, piastrellista. Mario vi piaciucchiava, confessatelo. Ma avete litigato, ferocemente, e tanto basta. Con la morte nel cuore buttate tutti i suoi regali, cancellate il suo numero dal cellulare, eliminate le sue email, lo cancellate dai contatti, pregate gli amici comuni di non parlarvene mai più.
Dopo dieci giorni avete già conosciuto tre Marii. Quattro tipi di 35 anni. Dopo un mese, ad una cena vi presentano uno davvero simpatico. Già prima del dolce vi dice allegramente di essere nato il 23 di gennaio. Non lo stesso anno di Mario, ma insomma! Il giorno dopo oltretutto, quella bastarda della vostra amica che vi ha portato fuori a cena vi chiama e durante la telefonata dicendovi di dover rifare il bagno vi chiede se conoscete un buon piastrellista. Attaccate incazzate.
Vi riprendete grazie all'autoironia e non ci pensate più. Dopo sei mesi partecipate ad un evento figherimmo di degustazione vini. Ad un tratto vi girate e vi manca il respiro. Lo standista è rosso di capelli, alto poco più di 1:80 e sembra il sosia di Mario. "Signorina, deve provare questo Merlot trevigiano, è il meglio!" Ancora si starà chiedendo perché lo avete mandato a fare in culo.

Conclusione: Io ho smesso di interrogarmi sul significato profondo di parole come Destino, o Karma, o Kismet. Il passare del tempo impone una certa praticità nell'impostazione del proprio pensiero, ed attualmente sono persuasa che il miglior fine cui indirizzare il pensiero sia la semplice felicità. 
Sono abbastanza convinta che le coincidenze risultino dai fattori della realtà che maggiormente colpiscono la nostra attenzione, ovvero ci interessano. 
Quindi per amor di sintesi vorrei formulare il mio pensiero in un banale esempio / consiglio: se ci colpisce una persona perché il suo dolce preferito è il profiterole, non voglio arrivare a parlare di problema irrisolto, ma è assai probabile che in noi ci sia ancora vivo un interesse, un sentimento di qualsiasi natura verso qualcuno cui piaceva il profiterole. Forse la soluzione di recuperare la prima persona cui piaceva il profiterole e "risolvere" quel sentimento è ormai impraticabile, ma rifletterci e risolverlo da soli rendendocene consapevoli senz'altro lo è.
Carlos Ruiz Zafón ha scritto: "Le coincidenze sono le cicatrici del destino." Al di là di ciò che ognuno possa leggere in questo, io credo che è nel momento in cui opponiamo resistenza che creiamo i maggiori inganni per noi stessi.
Le "coincidenze" possono essere quindi utili indizi per capire alcune questioni del passato in sospeso; dannose in quanto pregiudizi, a mio avviso, se non correttamente valutate nel contesto nel quale sono state rilevate. 
Perché credo che la meraviglia di poter vivere il presente sia poter vivere le novità: poter ascoltare una musica nuova trovandoci frasi inedite, senza farci guastare questo piacere dal passato.
Credo che questo sia il senso che ho dato all'espressione "costruire il proprio destino".


lunedì 5 gennaio 2015

Viaggiare leggeri

Quand'ero giovane desideravo cose e persone.
Desideravo acquisire risultati, ottenere cose; con-quistare, acquisire, portare dalla mia parte persone fra le più diverse.
Ora mi ritrovo ad apprezzare ed elogiare l'assenza.

Ho accumulato cose che francamente non mi servivano a niente.
Le cose inutili, anche se sono belle o rare o costose, sono ciarpame.
Se consideriamo che la vita è a termine e le cose sono fatte per servirla, e questa è una visione che da giovane non hai, ma nello scorrere del tempo acquisisci (con un po' di fortuna ed impegno).

Le cose che ci servono realmente, che possiamo utilizzare ogni giorno per vivere felici non sono davvero molte e possiedono una bellezza e una pulizia incomparabile. Nasciamo e viviamo in un mondo che ci dice e ripete: "Prendi!" in ogni momento. Solo facendo spazio ed ordine possiamo riuscire a cominciare a capire. Per ogni cosa inutile di cui ci liberiamo, facciamo ordine e spazio per noi stessi, per capire cosa ci serve realmente.

Ho speso non poca fatica a liberarmi di alcune persone inutili o dannose per me.
Fatica estrema, in quanto oltretutto considerare una persona "inutile" o addirittura "dannosa" è del tutto contrario alle mie linee guida. Ho superato questa difficoltà considerandole non inutili o dannose di per sé, ma alla mia felicità. Incompatibili per essenza.

Ho dovuto spendere così tanto del tempo a mia disposizione per gestire i contrasti e i sabotaggi di persone che mi si sono opposte (e mi si oppongono) per essenza: per avere ciò che io ho o che credono che io abbia, per "antipatia"; soprattutto, per "contenere" le mie azioni e il mio essere, limitarmi, annullarmi, come inconsapevoli anticorpi esistenziali.

Così ho imparato enormemente ad apprezzare chi, non essendo compatibile con me, semplicemente mi ignora. Chi vedendomi impegnare il mio tempo in qualcosa che ritengo utile, vive in un mondo parallelo dove io non esisto poiché per essenza fra noi non ci sono punti di contatto e cooperazione.

Cerco la risonanza su linee comuni, l'unica utile. Cerco il dialogo con chi ha superato la visione limitata dell'importanza relativa degli obiettivi temporanei e ha raggiunto la consapevolezza dello scorrere del tempo.

La paura, l'avidità, l'invidia, l'aggressività delle persone incompatibili sono sassi appesi addosso che ci impediscono di viaggiare leggeri. Bisogna schivarli quanto più possibile o liberarsene in fretta.

Oggi comprendo lo sguardo, a metà fra lo spazientito e il compassionevole, che mi rivolgevano le persone più avanti negli anni quando io giovane mordevo maldestramente il freno all'idea di superarli, nel tentativo di avere ciò che avevano loro.

Oggi elogio l'assenza e la leggerezza.