venerdì 22 gennaio 2016

Viaggiare leggeri

Se non fossi consapevole del fatto che si tratta di una domanda di pura cortesia, alla domanda: "Come stai?" attualmente la mia risposta sincera sarebbe:
"Guarda, dopo un'infanzia strana, una gioventù per lo più inconsapevole, dei trent'anni dove sono stata la mia peggior nemica e un inizio di quaranta dove ho avuto ancora isolati strascichi di autolesionismo, incredibilmente da un paio d'anni sono piuttosto soddisfatta del mio comportamento. Riesco a fare scelte migliori, riflettere e vedo dei buoni risultati in tutti i campi della mia vita."

Cosa è successo?
Sostanzialmente, sono andata per difetto.
Nel senso che, anziché cercare cose migliori, ho puntato a liberarmi delle cose negative.
Ha funzionato benissimo.
C'era un sacco di ciarpame nella mia vita che mi appesantiva. Idee, convinzioni, attitudini.

L'altra sera prima di cena scorrevo dei commenti su facebook (contrariamente all'idea dell'immaginario collettivo non ho l'abitudine di portare il mio smartphone al bagno - sia per motivi igienici sia perché lì preferisco passare il tempo conversando con le gatte - così i 4 eroi che mi leggono ora sanno di ricevere eventuali post da un luogo presentabile) e leggevo delle opinioni decisamente contrarie alle mie su un argomento che non citerò, ma sul quale sapevo di poter intervenire con competenza e cognizione di causa.

Ora: non so se abbiate visto Inside Out, ma proprio come in quel film potete immaginare il mio conflitto interiore impersonificato da 2 figurine che si agitavano dentro la mia testa.

Il primo, che potremo tranquillamente chiamare L'OminoIncazzoso, era già lì, con l'ascia bipenne affilata, aggrappato alla rete dei neuroni come alle transenne di una curva di ultrà.
L'OminoIncazzoso assomiglia moltissimo a Cirillo, il pupazzo a forma di demonietto al quale mia Madre era teneramente affezionata. E' tutto rosso. Ha un gonnellino nero tipo highlander infernale con una bretella sola e un corno spuntato. Avrebbe un aspetto decisamente badassico, se non fosse un essere immaginario di dimensioni microscopiche. Io e l'Ominoincazzoso siamo amiconi e compagni di battaglie e baldorie fin dalla mia prima infanzia. 

"Vaivaivai che a questi mò gli famo il culo!"
(va da sé che l'OminoIncazzoso attinge a tutto l'idioma natìo di Mamma Roma)

Lì accanto, c'era SeiStataBrava.
SeiStataBrava è una donnina di mezza età che si è puppata un sacco di libri, e non solo i testi fondamentali del buddismo, ma molti altri. E' piccola, rotondetta e indossa una mise bianca a metà fra la tunica Jedi e (sospettosamente) un pigiama. Non è di molte parole, però m'ha tenuto compagnia in molte occasioni. Per esempio quando da ragazza passavo ore a far addormentare i miei figli piccoli, o negli anni successivi quando ero stanca morta ma continuavo a lavorare, o quando m'è capitato di trascorrere del tempo accanto a persone a cui volevo bene per curarle o aiutarle. Ogni volta, alla fine, l'ho sentita lì accanto a me, sorridente. 
Spesso però le è capitato di subire dall'OminoIncazzoso, che è sempre stato decisamente più vivace, divertente e convincente di lei. Tante volte dopo che avevo affrontato, insultato a sangue, atterrato  qualcuno scambiando infine un trionfale cinque alto col mio piccolo guerriero, l'ho vista ritirarsi in silenzio portando negli occhi la domanda che però l'altra sera ha avuto voce per farmi.

"Servirà a qualcosa?"

La mia esitazione e il mio sorriso sono bastati ad entrambi per capire.

"Stai davvero a da' retta a sta' cretina?! Sei diventata 'na smidollata,'na poveraccia, 'na vecchia!"

"Senti, sai che facciamo? Mo andiamo a preparare la cena. Così ti faccio usare quel coltello giapponese di ceramica che ti piace tanto. E magari più tardi ci vediamo anche un paio di video di haka maori. Ma solo se fai il bravo."

martedì 19 gennaio 2016

Dematerializzazione

Sto ancora piangendo David Bowie, sto ancora elaborando il suo passaggio verso l'Olimpo.

E ora è morto anche Ettore Scola.
Il suo film La Famiglia era uno dei miei topoi, una delle mie componenti interiori.
La sua Famiglia mi aveva ricordato (o forse, meglio, creato nostalgia nell'ideale de) la mia tanto puntualmente, che nello scorrere del tempo penso di aver finito per confonderle, di aver adottato i suoi personaggi e creduto di aver vissuto negli stessi luoghi della rappresentazione, anziché del ricordo.
La Famiglia di Ettore Scola era parte di me.
Anche La Terrazza era lì, aggrovigliata nelle mie sinapsi come una conchiglia in una rete per sempre in fondo al mare, incoerentemente ma nitidamente in compagnia degli editoriali di Oreste Del Buono di Linus e i film di Fantozzi che mi immalinconivano da piccola.

In pochi giorni ho visto morire un altro autore di una parte che io ho sempre identificato come essenziale e costituente me stessa.

Mi sento come se camminando in un paesaggio astratto io mi stessi scomponendo in forme primarie e le stessi perdendo in pezzi per strada.

Mi sento come se mi stessi dematerializzando.

Robert Smith sta bene, vero? E' una fortuna che non ci frequentiamo di persona, perché in questo periodo potrei diventare molto apprensiva nei suoi confronti.

Eppure quello che mi hanno lasciato queste persone è ancora con me: sono io.

Sto elaborando, ma il primo pensiero che ho avuto è stato che questo è il segno del tempo.
Loro mi hanno dato facendo di me ciò che sono: pur facendolo da anni per ruolo e circostanze, è il momento che io consideri con nuova consapevolezza ed impegno costante la funzione di dare a mia volta, di ritrasmettere, e pur nel mio piccolo e nel quotidiano, poter essere una Storia a beneficio di altri.

C'è forse un modo migliore per onorare chi c'è stato prima e ti ha donato tanto?

giovedì 14 gennaio 2016

Just like that bluebird

Siamo a giovedì, e posso dire che è stata una settimana complicata.
Sono tornata dalle ferie carica e piena di ottimi propositi: retto agire, retto pensare, ecc ecc...
Ero seriamente intenzionata a dare il massimo in famiglia, sul lavoro e in generale fare del mio meglio per migliorare il mondo.

Sabato mi sono messa a letto con la febbre. Ho vegetato per circa 48 ore in preda ai sintomi di un'influenza micidiale.
Lunedì mattina ho arrancato fino al pc, visto che dovevo per forza alzarmi per andare dal medico, e sono andata completamente in tilt.

Ho letto che David Bowie era morto.
Non sto qui a dilungarmi sulle reazioni che so di aver condiviso con molti.

Martedì ho riacceso il pc e ho letto che era scoppiata una bomba esattamente dov'ero pochi giorni prima.
Mi sono arresa e ho pianto tutte le mie lacrime.

Mi sono resa conto di non riuscire a trovare consolazione per la morte di David Bowie.
Dopo aver trovato da sempre incomprensibile il rapporto personale con alcune celebrità che vedevo vivere dalle mie amiche, mi sono ritrovata, e neanche con la scusante dell'adolescenza, a provare la stessa esperienza. Credo di poterlo attribuire alla sconcertante inconsapevolezza nella quale spesso ho seppellito accuratamente i miei attaccamenti più profondi.

L'esistenza di David Bowie mi ha sostenuta da sempre.
Ha fornito risposte consolanti a tutti i temi ricorrenti del mio immaginario: l'essere alieni caduti sulla terra, la nostalgia del futuro; soprattutto, il fatto di poter essere qualsiasi cosa si volesse essere.

Consolante, perché lui era la dimostrazione vivente che ognuno di questi temi, considerati devianti dai più, potevano essere trasformati in fattori vincenti, nell'essenza del cool.

David Bowie vedeva come me e tanti altri il mondo che fluttua, ma cambiando maschera, cantando, danzando, trasformava l'impermanenza in bellezza e trovava il senso per sé e per noi.

David Bowie diceva di sé di essere un artista "esperto in nulla", per cui curioso e libero di fare tutto, e anche se mentalmente io replicavo: "David, parliamone, tu a 22 anni hai scritto Space Oddity e sei un fottuto genio musicale."  però ho compreso e fatto mio il significato di questa definizione di artista.

Infatti David Bowie era il mio punto di riferimento, colui al quale invariabilmente pensavo riflettendo sul mio meme, sul virus mentale che mi porta a pensare a me stessa come un'artista.
Un'artista che però da ragazza studiava disegno e poi ha smesso; che non sa suonare né cantare, che scrive ma senza nessun interesse di piacere agli altri.
Dell'artista ho la libertà interiore, il desiderio profondo di creare bellezza e il piacere sincero nel creare.
Dell'artista mi manca il talento, il coraggio e soprattutto l'ambizione, il desiderio di incantare ed avere successo.

Per tanto tempo mi sono negata il piacere di creare perché sapevo che non sarei mai stata David Bowie (o Marguerite Yourcenar, o Van Gogh).

"Che mi metto a pasticciare io?" mi sono detta tante volte "Ci siete voi che siete fantastici. Non potrò mai neppure avvicinarmi e ogni tentativo è energia sprecata, un contributo all'entropia. Meglio mettersi a fa' una torta."

Poi martedì ho realizzato che si muore.

Così ho riconsiderato l'idea e credo di poter tollerare il fatto di produrre qualcosa che sia meno di un capolavoro immortale. Ho quasi 50 anni e quindi nessuno potrà scambiare i miei se non per gli innocui passatempi di una Signora. Penso di essere pronta ad accettare l'idea della mia imperfezione e svagarmi come tutti.

Anche questo fa parte dei propositi di vivere più serenamente, cercare armonia ed essere più gentile (e non sto scherzando ora, perché sono consapevole del fatto che la spigolosità del mio carattere derivi dalla mia difficoltà a convivere con l'imperfezione, che sia mia o altrui).

Pertanto mi dedicherò (debitamente nel tempo libero) a creare. A pastrocchiare cose imbarazzanti, a scrivere storie assurde che prometto di non obbligare nessuno a leggere, ma infine lo farò. Liberamente.

E come nel film il Cielo sopra Berlino, io credo che lo farò immaginando di avere sempre e comunque un nume tutelare - diciamolo, giacché per vivere come voglio devo avere il coraggio di liberarmi soprattutto dall'imbarazzo - un angelo custode che mi dirà, come sempre ha fatto:
Sii Libera.